venerdì 26 marzo 2021

Mille altri compleanni come il primo e mille altri sorrisi spensierati


Dovrei scrivere una lettera alla me piccolina che ride nella foto del suo primo compleanno.

Per farmi venire un’ispirazione tra le quattro mura di casa, dato che il tempo inclemente ci sta costringendo in casa e non mi permette di andarmene a Villa Borghese e trovare un angoletto in cui sentirmi in pace con me stessa e in comunione col mondo, accendo l’app della radio spagnola nella speranza che la musica che per tanti anni mi ha accompagnato nei miei momenti morti, nei miei momenti importanti mi porti alla mente qualche ricordo da cui partire.

In realtà è che non so da dove cominciare… non solo, sono poco concentrata; come sempre vorrei scrivere mille cose e fare nel frattempo altre mille cose, ma la pigrizia, la disorganizzazione, la mia tendenza a procrastinare e a perdermi in chiacchiere prevaricano su tutta la mia buona volontà.

Quindi ora cercherò di abbandonare la musica del passato, le mille distrazioni del cellulare, spegnerò la tv e cercherò di produrre qualcosa che la mia povera psicologa non riuscirà a leggere perché mi ridurrò a mandarle il pezzo all’ultimo momento. Come al solito.

Inizierò con lo scrivere:

“Cara Sabrina,

ti guardo in quella foto davanti alla torta del tuo primo compleanno, vestita di bianco, sorridente paciocchina, inconsapevolmente contenta di essere la vera protagonista della giornata. Sei così pura, spontanea, genuina, fa piacere e tenerezza e ispira simpatia guardarti mentre fai buffe facce davanti a quella torta. Sei dolcissima mentre tendi la manina verso il cugino americano della nonna, seduta su un lenzuolo adagiato sul pavimento e circondata da cuscini; già da lì si vede che hai una certa propensione per le lingue straniere, “Hi, how are you?” sembri voler dire. Oppure sembri già una signorinella mentre posi seduta su un pallone in balcone, coi codini e il vestitino rosso, baciata dal sole. Il tuo primo giorno di scuola, col grembiule bianco e il fiocco blu, e lo zainetto di Lady Lovely che conserverai per sempre; poi in posa con un pupazzone, e poi sempre tu in una scampagnata baciata dal sole. Questa devi essere tu sempre, senza mai perderlo di vista nonostante la vita possa poi riservarti bocconi amari e momenti difficili. Che l’invidia, l’egoismo, l’arroganza, la malignità mai possano sfiorare e inquinare il tuo animo, il tuo sorriso, la tua spensieratezza. Ti guardo e ti chiedo scusa piccola Sasi, perché io quel sorriso mi sento di averlo tradito, di non averlo rispettato, di non aver tenuto viva quella luce nei tuoi occhi. Scusa per l’adulta spaventata dalla vita che sono diventata, per non aver avuto la forza di conservare in me quello che rimaneva di te. Non è l’età anagrafica a fare la vera età di una persona; si può continuare a essere un po’ bambini anche a quasi 37 anni. Conosco gente più giovane di me, che ragiona come i vecchi, senza ammettere sfumature, aggrappandosi a principi superati e obsoleti per questi tempi così difficili, in cui non resta che guardare in faccia la realtà e avere il pelo sullo stomaco per saperla affrontare e saperla accettare. È giusto che tu ce l’abbia questo pelo sullo stomaco, ma non dimenticare di lasciarti stupire ancora positivamente dalla vita: accetta ma non sottometterti, grida ma non sbraitare, combatti e lotta ma non entrare in guerra con gli altri; vivi: non stare a guardare; sogna ma non perderti in fantasie sciocche.

Segui le regole ma non pensare che siano l’unico modo possibile per stare al mondo: a volte puoi creare regole tue ugualmente efficaci e senza per questo andare contro il sistema. È proprio perché a volte il sistema fa acqua che devi imparare a tappare i buchi.

Non essere passiva di fronte alle ingiustizie, di fronte a quello che ti succede intorno se non ti piace, se ti fa incazzare: ci sono momenti in cui bisogna sapere quando tacere, altri invece in cui parlare è necessario.

Non voglio passare per quella che parla da donna vissuta, ma mi sarebbe piaciuto che qualcuno mi avesse dedicato queste parole quando io avevo la tua età, che mi avesse spronato per davvero e non che, nel maldestro tentativo di farlo, avesse prodotto l’effetto contrario. O che non lo avesse fatto affatto ma anzi mi avesse tenuto sotto una campana di vetro come la rosa della Bella e la Bestia. Peccato che non siamo in una favola, a volte le rose sfioriscono da sole senza che arrivi il principe a spezzare l’incantesimo. Tocca a noi curare la nostra rosa, amarla, custodirla, perché perda i suoi petali nel corso naturale della vita.

Piccola Sasi, pensiamo di aver perso e di continuare a perdere tempo, non lo possiamo recuperare ma possiamo far sì che quello che rimane sia il miglior tempo possibile. Io guardo la tua fotografia e vorrei prendere quel tempo di allora, quello in cui tu sorridi baciata dal sole in balcone, e spararlo addosso a quello di adesso, fargli un’iniezione di fiducia, di allegria, di spensieratezza. Ce la posso ancora fare, non voglio mollare, fosse pure l’ultima cosa che faccio.

Ti saluto pallocchetta, ti auguro mille altri compleanni come il primo e mille altri sorrisi spensierati, sentirò sempre la tua mancanza.

Con amore,

Sabrina.”

 

lunedì 18 gennaio 2021

Tu eres el mejor maestro que pude elegir


Tu eres el mejor maestro que pude elegir

La conocí en un programa de radio.

Para hacerle un favor a mi hermana, acepté participar en un programa donde supuestamente encontraría mi media naranja.

Aquella misma tarde, le había contado a mi hermana que quería aprender español y ella, con su sonrisita burlona y su voz chillona, me había contestado: “Pues menuda sorpresa tendrás tú entonces esta noche. ¡No faltes!”. Me quedé como un tonto.

Cuando la vi por primera vez en la pantalla, recuerdo que no me pareció nada atractiva. Pero aquello era solo un juego, no un compromiso matrimonial. Contó algo de sí, de lo que le gustaba, de su vida actual. Llevaba una sudadera celeste, gafas, el pelo suelto y parecía divertida. Se despidió del público en español. En su entonación apenas se adivinaban huellas de acento italiano. Pedí su número a los presentadores del programa, entre otros un vecino mío del barrio que resultó ser unos de sus mejores amigos. En fin, la de cosas que tiene el destino.

No me animaba a escribirle, pero al cabo de unos días ella empezó a seguirme en Instagram. Sasi, ponía. Yo apenas recordaba su nombre, pero había seguido pensando en llamarla porque todavía sí, quería tomar clases.

Le escribí que no me había olvidado de ella ni de las clases. ¿Qué más le podía decir para no quedar como un imbécil? Decidimos empezar el miércoles siguiente por Skype, único medio posible en tiempos de coronavirus y por vivir en ciudades diferentes.

Nada más empezar pregunto cómo prefiere que la pague. Me contesta que la incomoda hablar de dinero pero que tendrá en cuenta mi propuesta.

Antiguamente trabajaba como empleada en una aerolínea y justo cuando había decidido aprovechar de la pequeña (¡Más bien enorme, diría yo!) ventaja que le daba su trabajo y recorrer por fin el mundo, el virus lo cambió todo: cambió sus planes, su vida, su forma de pensar.

A veces me cuenta sus andanzas, anécdotas de su antigua profesión y de la actual, es decir enseñar español a alumnos de secundaria. Parece que habla de otra vida y apenas ha pasado un año. Incluso apuesto a que se le pone la mirada nostálgica, aunque no se vea bien a través de una pantalla.

Todavía no entiendo si es atractiva o no.

Me enseña gramática, fonética, quiere que escriba, que lea y disfrute; se ríe conmigo, de mis ocurrencias, de mis despistes y cariñosamente me dice que no sabe si me parezco cada vez más a ella o a sus alumnos.

Me habla de literatura, me propone cuentos, fragmentos de obras que le gustaron y la hacían soñar en sus días de estudiante universitaria. Quiere que recurra a mi creatividad, a la fantasía, que imagine lo que leo, que lo sienta en la piel y con todos mis sentidos. Hasta me ha pedido que cante por ella en español, y yo que soy músico y debería estar acostumbrado a subirme a un escenario y actuar, confieso que me corto, después de tantos años sigue costándome trabajo “desnudarme” delante del público. Quizás aún no me sienta a gusto… ¿con ella o en general?

Nunca llego a hacer todo y ella sabe que siempre voy deprisa, pero a pesar de mis faltas y mis tareas pendientes no quiero abandonar nuestras clases, aunque ella me anime a que piense primero en lo que de verdad me importa que es la música, mi razón de vida.

Aquella hora y media que pasamos juntos me sosiega, me aleja del correteo diario al que me someten el trabajo, las clases de canto y de guitarra, las sesiones de grabación a última hora.

Para Navidad me mandó unos regalos: un cuaderno de tapa rígida, dos bolis, un ramito de acebo y un diccionario. En la solapa del cuaderno me puso una dedicatoria, de la que yo no entendí casi nada, lo admito, pero que me hizo sentir como si me estuvieran abrazando. Hablaba de sueños, de deseos, de colores, de una voz que llega lejos, la mía. Aquellos regalos llegaron justo cuando peor me sentía: cansado, abatido, atrapado en una rutina que me agobia y que a menudo no me deja levantar cabeza. Mi único alivio son mi guitarra, mi música…y las clases de español. Juntando las pocas herramientas lingüísticas que tengo le escribí: «Tu eres el mejor maestro que pude elegir».

«El diccionario abre puertas, te permite acceder a códigos aparentemente desconocidos» dice ella, y, a veces, pienso que ella misma habla un código desconocido pero cautivador, que detrás de aquellas reglas de gramática, aquellas frases hechas, aquellos verbos irregulares que cambian la E en I en la primera persona singular del presente de indicativo se esconda algo más y  el diccionario no es otra cosa que una clave para acceder a ella y a su personalísimo código misterioso.

Siempre me pregunta qué tal estoy, si hubo algún avance en mi carrera, si algo nuevo viene en camino. Se preocupa por mí, inventa juegos, retos, prepara sus clases con precisión, entusiasmo, con esmero para que sean más llevaderas y no solo una aburrida recopilación de reglas. Es paciente, discreta, lista; es interesante, simpática, nunca grosera, su mente es brillante. Nos llevamos siete años, pero su voz es argentina, fresca, casi de niña; a veces se hace más profunda, pausada, parece otra, más intensa cuando habla español. Debe de ser porque es el idioma de su corazón, no cabe duda, porque le sale de lo más profundo del alma.

Dice que no le gusta ser profesora, que solo lo hace porque no le queda otra, en un momento en que los aviones no vuelan, pero nuestros pensamientos quizás vuelen demasiado.

 Repite que no se siente a la altura, pero ella nunca reconoce sus méritos, no quiere ver que es mucho mejor de lo que ella misma imagina.

También pienso que es una tía cojonuda, mucho más de lo que ella cree.

Aún no sé si es atractiva o no, pero sí, pienso averiguarlo.

 

Mille altri compleanni come il primo e mille altri sorrisi spensierati

Dovrei scrivere una lettera alla me piccolina che ride nella foto del suo primo compleanno. Per farmi venire un’ispirazione tra le quattro...